domenica 6 aprile 2025

Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia – Leonardo Sciascia

“Candido Munafò nacque in una grotta, che si apriva vasta e profonda al piede di una collina di olivi, nella notte dal 9 al 10 luglio del 1943. Niente di più facile che nascere in una grotta o in una stalla, in quell’estate e specialmente in quella notte: nella Sicilia guerreggiata dalla settima armata americana del generale Patton, dall’ottava britannica del generale Montgomery, dalla divisione tedesca Hermann Goering, da qualche sparuto, quasi sparito, reggimento italiano.” 

 “Come una pagina bianca, il nome Candido: sulla quale, cancellato il fascismo, bisognava imprendere a scrivere vita nuova.” 

 “Come poi entrambi avessero attraversato ginnasio, liceo e università senza mai sentire parlare di Voltaire e di Candido, non è da stupirsene: capita ancora.” 

 “O la Democrazia Cristiana o il Partito Liberale: tra questi due si addiceva e conveniva che il generale scegliesse. Il generale vinse la repugnanza che sentiva per i preti ricordando che in Spagna aveva combattuto per la fede di Cristo: e scelse la Democrazia Cristiana.” 

 “E proprio durante una di queste messe, a Candido avvenne di scoprire, un pensiero dietro l’altro, che la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora e in balìa dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che restavano…” 

 “Fisicamente, Candido aveva qualcosa di gattesco: un che di morbido, di vellutato, di indolente; un guardare sonnecchioso e svagato che a momenti si restringeva e si accendeva di attenzione; un muoversi lento e silenzioso che a volte diventava, sempre silenziosamente, scattante. E così nella mente: pieno di fantasie, divagante ed estravagante; ma sempre in agguato. E peraltro gli piaceva, assomigliarsi a un gatto: per la libertà che sapeva di avere, per il nessun legame con le persone che gli stavano intorno, per la capacità di bastare a se stesso.” 

 “Mai aveva pensato che un uomo potesse avere su un altro un potere che venisse dal denaro, dalle terre, dalle pecore, dai buoi” 

"E credo che gli uomini che sanno qualcosa di sè, che vivono e si vedono vivere, si dividano in due grandi categorie: quelli che sanno che la ricchezza è morta ma bella e quelli che sanno che è bella ma morta. Tutto sta nel ruotare di due parole intorno un “ma”… Per me è ancora bella ma sempre più morta, sempre più morte.” 

 “Le voci – disse tranquillamente Candido – sono quasi sempre vere.” 

 “E poi, diceva il dotto teologo, non che la verità non sia bella: ma a volte fa tanto di quel danno che il tacerla non è colpa ma merito. Consegnando al teologo il foglio delle dimissioni, l’arciprete non più arciprete con tono parodiante, quasi cantando, disse: Io sono la via, la verità e la vita; ma a volte sono il vicolo cieco, la menzogna e la morte.”

 “Se fossi Dio, di tutto questo mi offenderei.” 

 “I fatti furono debitamente integrati, salacizzati e, nel senso della malevolenza, abbelliti.”

 “La scuola, in cui benissimo era andato riguardo a promozioni e a voti, in effetti gli era servita per leggere tutti quei libri che niente avevano a che fare con la scuola e molto con la vita.” 

 “Una felicità ottenuta facilmente prima non è la stessa di una felicità ottenuta difficoltosamente dopo; non si può nemmeno dire felicità quella di cui si gode inconsapevolmente, senza essere passati attraverso la sofferenza.” 

 “O la nostra vita è ormai tutto ciò che è stato scritto?…Crediamo di vivere, di essere veri, e non siamo che la proiezione, l’ombra delle cose già scritte.” 

 “Fatica, soltanto fatica nel giro sempre uguale delle stagioni; così come sempre era stato per i contadini, sempre a maledire pioggia o sole, grandine e brinate, la filossera che si attaccava alle vigne e il mal nero che si attaccava al grano. Ed era la più vera allegoria della vita, quella che ogni giorno la campagna apriva sotto l’occhio del contadino: fatica ogni giorno insidiata, spesso annientata; mali che invisibilmente insorgevano e inesorabilmente si propagavano.” 

 “Dalla porta dell’ufficio del giudice il cancelliere chiamò: Munafò Candido – e Candido varcò la soglia dell’ufficio. Dietro una scrivania stava un giudice: una faccia dura innaturalmente aperta a un sorriso, i capelli folti e neri sulla fronte bassa. Alla sua destra, ma come in disparte, sedeva un uomo magrissimo, gli occhi spiritati, la mano che continuamente entrava a pettine tra i capelli scomposti, nervosamente. Dietro una scrivania più piccola, il cancelliere.” 

 “Furono anche spettatori di cose che sapevano potessero accadere e accadevano, che lette su un giornale sarebbero scivolate via senza lasciar tracce: ma viste restavano indelebili ed emblematiche.” 

 “Intanto, Torino diventava una città sempre più cupa. Era come confusamente sdoppiata, come liquidamente divisa: due città che reciprocamente si assediavano, nevroticamente, senza che di ciascuna si riconoscessero le posizioni, le difese, gli avamposti, i cavalli di Frisia e di Troia. Il nord e il sud d’Italia vi si agitavano, pazzamente cercavano di evitarsi e al tempo stesso di colpirsi: entrambi imbottigliati a produrre automobili, un necessario a tutti superfluo, un superfluo a tutti necessario.” 

 “Anche il nord e il sud d’Italia erano come due scorpioni nella bottiglia: nella bottiglia che era Torino.” 

 “E una delle ragioni del loro amore a Parigi – oltre quelle dell’amore all’amore, dell’amore alla letteratura, dell’amore alle vecchie e piccole cose e ai piccoli e antichi mestieri – stava nel fatto che vi si poteva ancora camminare, ancora passeggiare, ancora svagatamente andare e fermarsi e guardare.” 

 “Una sera, che erano vicini a partire per Parigi e si sentivano come presi in un sogno, come dentro un sogno, Candido disse: Sai cos’è la nostra vita, la tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì, e stiamo sognando.” 

 “Francesca e Candido chiesero un caffè; don Antonio un armagnac: e perchè non riusciva a bere più di un sorso del caffè che si faceva a Parigi, e perchè a Parigi voleva mangiare e bere secondo letteratura. Armagnac, dunque. O Pastis. O calvados. Strenuo omaggio alla letteratura, per un mezzo bicchiere di vino rosso sui pasti del mezzogiorno e della sera: come quasi tutti i siciliani.” 

 “Dolcemente ma con forza Candido lo staccò dal palo, lo sorresse, lo trascinò. Non ricominciamo coi padri – disse. Si sentiva figlio della fortuna, e felice.” 

 “Se non il risultato, valga dunque l’intenzione: ho cercato di essere veloce, di essere leggero. Ma greve è il nostro tempo, assai greve.

giovedì 3 aprile 2025

Il libraio di Kabul – Asne Seierstad

“Quando Sultan Khan ritenne che fosse arrivato il momento di trovare una nuova moglie, nessuno si mostrò disposto ad aiutarlo. Prima di tutto si rivolse a sua madre.”

“Per Sultan i libri erano tutta la vita. la lettura e le storie lo avevano assorbito completamente fin dal tempo in cui aveva ricevuto il suo primo libro a scuola.”

 “…gli venne in mente una frase del suo poeta preferito, Ferdusi: Per riuscire a volte devi comportarti da lupo, altre volte da agnello.” 

 “Quello che i suoni e gli odori non possono raccontare, lo aggiungono i pettegolezzi. Serpeggiano come fuoco nell’erba secca in questo quartiere dove tutti vigilano sulla moralità degli altri.” 

 “E’ tutto un brusio confuso di voci, un ronzio costante. Accade di rado che qualcuno offra i prodotti che ha in vendita. La maggior parte dei venditori sembrano più interessati a spettegolare coi vicini o a partecipare alla vera vita del bazar standosene stravaccati su un sacco di farina o su un mucchietto di tappeti, che a decantare ai quattro venti la loro mercanzia: tanto i clienti comprano quello di cui hanno bisogno. E’ come se il tempo si fosse fermato nel bazar di Kabul. Le merci sono le stesse di quando Dario, re di Persia, vagabondava per queste strade cinquecento anni prima di Cristo.” 

“Svolazzano fin dentro il fresco appartamento, si sfilano i burka dalla testa, li appendono ognuno al proprio gancio e sospirano sollevate. Si riprendono il proprio volto, il volto che il burka aveva rubato loro.” 

 “E questa polvere di sporcizia che ora sta cercando di strofinare via dal suo corpo, è questa che si toglie di dosso fregando e formando spessi rotolini. E’ la polvere si incolla alla sua vita.” 

 “Sotto il burka e gli altri vestiti, adesso, le donne sono linde e profumate, ma perchè il sapone verde e lo shampoo rosa abbiano la meglio si prospetta una dura battaglia. Tra breve riacquisteranno il loro odore, il burka glielo ricaccia addosso, odore di vecchia schiava, odore di giovane schiava.” 

 “Ancora una giornata con lo stesso odore e lo stesso sapore di tutte le altre. Polvere.” 

 “Aimal è il più giovane dei figli maschi di Sultan, ha dodici anni e lavora dodici ore al giorno. Ogni singolo giorno, per sette volte alla settimana, viene svegliato all’alba.” 

 “Voglio volare! Voglio andarmene! esclama un giorno spazzando il pavimento. Lontano! grida facendo roteare lo scopettino di paglia.” 

 “Leila sente la vita, la gioventù, la speranza fuggire da lei senza alcuna possibilità di scampo. Sente che il suo cuore è come una pietra pesante e solitaria, condannata a spezzarsi irreparabilmente. Leila si volta, fa quei tre passi che la separano dalla soglia, si chiude silenziosamente la porta alle spalle e se ne va. Il suo cuore infranto è rimasto lì. Presto si mescolerà alla polvere che entra turbinando dalla finestra, a quella che si nasconde nei tappeti. La sera stessa sarà lei a spazzare via tutto e gettarlo nel cortile di fuori.”