“Un temperamento autoritario, una certa rigidità morale, una propensione alle idee astratte che nell’habitat morale molliccio della società palermitana si erano mutati rispettivamente in prepotenza capricciosa, perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti e amici, che gli sembrava andassero alla deriva nei meandri del lento fiume pragmatistico siciliano”
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”
“Ancora una volta il principe si trovò di fronte a uno degli enigmi siciliani; in quest’isola segreta, dove le case sono sbarrate e i contadini dicono di ignorare la via per andare al paese nel quale vivono e che si vede lì sul colle a cinque minuti di strada, in quest’isola, malgrado il suo ostentato lusso di mistero, la riservatezza è un mito”
“Non siamo ciechi, caro padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare”
“…il lamento delle cicale riempiva il cielo; era come il rantolo della Sicilia arsa che alla fine di agosto aspetta invano la pioggia”
“Ed il Principe, che aveva trovato Donnafugata immutata, venne invece trovato molto mutato lui, che mai prima avrebbe adoperato un modo di dire tanto cordiale; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio”
“L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta”
“…la boscaglia si trovava nell’identico stato di intrico aromatico nel quale l’avevano trovata Fenici, Dori e Ioni quando sbarcavano in Sicilia, questa America dell’antichità”
“Quando i cacciatori giunsero in cima al monte, di fra i tamerici e i sugheri radi riapparve l’aspetto della vera Sicilia, quello nei cui riguardi città barocche ed aranceti non sono che fronzoli trascurabili: l’aspetto di una aridità ondulante all’infinito in groppe sopra groppe, sconfortate e irrazionali, delle quali la mente non poteva afferrare le linee principali, concepite in un momento delirante della creazione: un mare che si fosse ad un tratto pietrificato nell’attimo in cui un cambiamento di vento avesse reso dementi le onde”
“Era entrato in gioco il machiavellismo dei siciliani, che tanto spesso induceva questa gente, generosa per definizione, ad erigere impalcature complesse, fondate su fragilissime basi. Come dei clinici abilissimi nelle cure, ma che si basassero su analisi del sangue radicalmente sbagliate, e per far correggere le quali fossero troppo pigri, i siciliani finivano con l’uccidere l’ammalato, cioè loro stessi, proprio in seguito alla raffinatissima astuzia che non era quasi mai appoggiata ad una reale conoscenza dei problemi o, per lo meno, degli interlocutori”
“Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una buona parte della neghittosità, dell’acquiescenza per le quali durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questi si fosse mai presentata (plebiscito per l’annessione al regno di Sardegna)”
“…e con il fascicoletto arrotolato si fece il segno della croce, gesto che ha in Sicilia un significato non religioso più frequente di quanto non si creda”
“Chevalley di Monterzuolo cominciava a rassicurarsi anche nei riguardi della Sicilia rustica. Questo fu notato da Tancredi che venne subito assalito dal singolare prurito isolano di raccontare ai forestieri storie raccapriccianti, purtroppo sempre autentiche”
“
"Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunga, lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si scampava dagli esattori bizantini, dagli emiri berberi, dai vicerè spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto adesione, non avevo detto partecipazione. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perchè adesso di possa chiedere ad un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento. Adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che molto sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che lei capirà da solo quando sarà stato un anno tra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare. Siamo vecchi, vecchissimi. Sono 25 secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il la; noi siamo bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi, è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso…
Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portare i più bei regali; e, sia detto tra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblìo, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae solo perchè è morto…
Li conti, Chevalley, li conti: maggio, giugno, luglio, agosto, setembre, ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle nostre teste…questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, del passato, magnifici ma incomprensibili perchè non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà ove, subito serviti, presto detestati, e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove: tutte queste cose hanno formato il carattere nostro, che così rimane condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità d’animo”
“I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria”
“Era necessario, diceva, subire la realtà di questo Stato italiano che si formava, ateo e rapace, di queste leggi di esproprio e di coscrizione che dal piemonte sarebbero dilagate sin qui come il colera”
“Essi offrivano lo spettacolo patetico più di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari in cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione”
«Ma era poi la verità questa? In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve. […] E l’infelice Concetta voleva trovare la verità di sentimenti non espressi ma soltanto intravisti mezzo secolo fa! La verità non c’era più; la sua precarietà era stata sostituita dall’irrefutabilità della pena».
«non provava assolutamente alcuna sensazione: le sembrava di vivere in un mondo noto ma estraneo che già avesse ceduto tutti gli impulsi che poteva dare e che consistesse ormai di pure forme. Il ritratto del padre non era che alcuni centimetri quadrati di tela, le casse verdi alcuni metri cubi di legno».
"Questo cane è diventato veramente troppo tarlato e polveroso. Portatelo via, buttatelo."
Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con l'umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare. Pochi minuti dopo, quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l'immondezzaio visitava ogni giorno. Durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell'aria un quadrupede dai lunghi baffi, e l'anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.