mercoledì 25 giugno 2025

Gli anni del nostro incanto – Giuseppe Lupo

“I fiori nel portapacchi papà li aveva regalati a mamma un mattino di aprile, per l’anniversario delle nozze. Aveva appena smesso di piovere, ma le strade erano asciutte, tanto che nella foto dove ci siamo tutti non si vedono pozzanghere. Io sono quella che mia madre stringe al petto. Ero nata quasi da un anno, ridevo come un angelo al vento della Vespa e l’aria mi entrava in bocca.” 

 “Si sente forte tra le braccia di papà che gli impediscono di cadere, è come se si trovasse fra le spalliere di una culla.”

“C’è un momento nella storia di ognuno in cui si ha il sospetto che tutto prenda una certa direzione, come la Vespa nella foto.” 

“Mentre fumava, studiava in che modo proteggere me e Indiano dalla stanchezza del vivere, dalla fatica di restare giovani in un tempo che avrebbe voluto non finisse mai. Questo era il suo sguardo: attimi consumati nel sapore dell’eternità, un modo di osservare il trascorrere degli anni che uno pensa sia futuro e invece non è altro che memoria.” 

 “Naturalmente non ci trasferimmo mai in quella strada, il fitto degli appartamenti era troppo alto. Però mio padre quel giorno scoprì che Celentano, quando raccontava la storia di uno di noi, nato per caso in via Gluck, raccontava la storia di tutti. Anche la sua.” 

“Tu mi comprendi se dico che il tempo di cui ti parlo, il tempo della nostra vita anteriore, vale solo se lo ricordiamo? Se ce lo dimentichiamo, è come se il passato l’avessimo chiuso in una stanza e avessimo gettato la chiave.” 

 “Ricordare non è un esercizio difficile. È il più naturale dei nostri bisogni. È come respirare, camminare, vivere.” 

“Prepariamo all’inverno. Domani è già Milano. Domani era già Milano. A me e a Indiano bastava sentircelo dire una sola volta per addormentarci, distesi sul sedile di dietro, contando le stelle che spuntavano dal finestrino.” 

 “Prima o poi arriva il tempo in cui la vita ci chiede spiegazioni di quel che abbiamo seminato. È un’operazione matematica: si tira una linea e si fanno i conti. Se abbiamo dato, avremo. Se abbiamo avuto, ci tocca pagare.” 

“E quando muore un padre, muore pure il mondo.” 

 “La foto stava al centro di un articolo dedicato a com’era l’Italia vent’anni fa, quando una famiglia come ce n’erano tante si permetteva una gita in Vespa, al centro di Milano, con i fiori nel portapacchi.” 

 “Se non ho volato, se non sono morta, è perché tu mi tenevi in braccio.”

venerdì 20 giugno 2025

Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway

“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce.” 

 “La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.” 

 “Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti.” 

 “Era troppo semplice per chiedersi quando avesse raggiunto l’umiltà. Ma sapeva di averla raggiunta e sapeva che questo non era indecoroso e non comportava la perdita del vero orgoglio.”

 “Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna.” 

 “Ogni giorno è un nuovo giorno. E’ meglio quando si ha fortuna. Ma io preferisco essere a posto. Così quando viene sono pronto.” 

 “Era considerata una virtù non parlare se non in caso di necessità, sul mare, e il vecchio l’aveva considerata tale e l’aveva rispettata.” 

 “Nessuno dovrebbe mai restar solo, da vecchio, pensò. Ma è inevitabile.” 

 “Guardò il mare e capì fino a che punto era solo, adesso. Ma vedeva i prismi nell’acqua scura profonda, e la lenza tesa in avanti e la strana ondulazione della bonaccia. Le nuvole ora si stavano formando sotto l’aliseo e guardando davanti a sé vide un branco di anatre selvatiche stagliarsi nel cielo sull’acqua, poi appannarsi, poi stagliarsi di nuovo, e capì che nessuno era mai solo sul mare.” 

 “L’uomo non è granché vicino ai grandi uccelli e alle bestie. Vorrei proprio essere quella bestia laggiù nel buio del mare.” 

 “Se ci fosse il ragazzo bagnerebbe le duglie, pensò. Si. Se ci fosse il ragazzo. Se ci fosse il ragazzo.”

 “E il dolore non deve avere importanza per un uomo.” 

 “Si, ce la farai, disse a se stesso. Ce la farai sempre.” 

 “Mi stai uccidendo, pesce, pensò il vecchio. Ma hai il diritto di farlo. Non ho mai visto nulla di grande e bello e calmo e nobile come te, fratello. Vieni a uccidermi. Non m’importa chi sarà a uccidere l’altro.” 

 “Il vecchio lasciò cadere la lenza e vi posò sopra il piede e alzò la fiocina più alta che potè e la lanciò con tutta la sua forza, e la nuova forza che aveva allora trovato, nel fianco del pesce, dietro alla grande pinna pettorale che si alzava nell’aria giungendo all’altezza del petto dell’uomo. Sentì il ferro conficcarsi e vi si appoggiò sopra e lo immerse più profondamente e poi lo spinse con tutto il peso del suo corpo.” 

 “Ma stavano navigando insieme legati a fianco a fianco e il vecchio pensava, sia pure lui che porta me, se gli fa piacere. Ho vinto io soltanto con l’inganno, e lui non voleva farmi del male.” 

 “Ma l’uomo non è fatto per la sconfitta – disse. L’uomo può essere ucciso, ma non sconfitto.” 

 “E’ stupido non sperare, pensò. E credo che sia peccato.” 

 “Tu sei nato per fare il pescatore e il pesce è nato per fare il pesce. San Pedro era un pescatore, e anche il padre del grande Di Maggio.” 

 “Non hai ucciso il pesce soltanto per vivere e venderlo come cibo, pensò. L’hai ucciso per l’orgoglio e perché sei un pescatore. Gli volevi bene quand’era vivo e gli hai voluto bene dopo. Se gli si vuol bene non è un peccato ucciderlo. O lo è ancora di più?” 

 “Avresti dovuto portare molte cose, pensò. Ma non le hai portate, vecchio. Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.”

 “In cima alla strada, nella capanna, il vecchio si era riaddormentato. Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava.”

domenica 15 giugno 2025

La gita Tindari - Andrea Camilleri

"Il telefono principiò a squillare. La sua prima reazione fu di inserrare ancora di più gli occhi, ma non funzionò, è notorio che la vista non è l'udito. Avrebbe dovuto tapparsi le orecchie, ma preferì infilare la testa sotto il cuscino. Niente: debole, lontano, lo squillo insisteva. Si susì santiando, andò nell'altra cammara, sollevò il ricevitore. "Montalbano sono. Dovrei dire pronto, ma non lo dico. Sinceramente, non mi sento pronto." 

 "Appena fora dal commissariato, tutta la gran gana che aveva di correre a inserrarsi a Marinella per mettersi a leggere, gli si abbacò di colpo, come certe volte usa fare il vento che un momento prima sradica gli àrboli e un momento dopo è scomparso, non c'è mai stato." 

 "Per una mezzorata se ne stette a panza all'aria, senza mai staccare lo sguardo dall'àrbolo. E più lo taliava, più l'ulivo gli si spiegava, gli contava come il gioco del tempo l'avesse intortato, lacerato, come l'acqua e il vento l'avessero anno appresso anno obbligato a pigliare quella forma che non era capriccio o caso, ma conseguenza di necessità." 

 "Montalbano, quando non aveva gana d'aria di mare, sostituiva la passiata lungo il braccio del molo di levante con la visita all'àrbolo d'ulivo. Assittato a cavasè sopra uno dei rami bassi, s'addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sulle faccenne da risolvere. Aveva scoperto che, in qualche misterioso modo, l'intricarsi, l'avvilupparsi, il contorcersi, il sovrapporsi, il labirinto insomma della ramatura, rispecchiava quasi mimeticamente quello che succedeva dintra alla sua testa, l'intreccio delle ipotesi, l'accavallarsi dei ragionamenti. E se qualche supposizione poteva a prima botta sembrargli troppo avventata, troppo azzardosa, la vista di un ramo che disegnava un percorso ancora più avventuroso del suo pinsèro lo rassicurava, lo faceva andare avanti." 

 "[...] più lo taliava, più l'ulivo si spiegava, gli contava come il gioco del tempo l'avesse intortato, lacerato, come l'acqua e il vento l'avessero anno appresso anno obbigato a pigliare quella forma che non era capriccio o caso, ma conseguenza di necessità. L'occhio gli si fisso su tre grossi rami che per breve tratto procedevano quasi paralleli, prima che ogniuno si lanciasse in una sua personale fantasia si zigzag improvvisi, ritorni narrè,avanzamenti di lato,deviazioni, arabeschi. Uno dei tre, quello centrale, appariva leggermente più basso rispetto agli altri due rami soprastanti, quasi li volesse tenere legati a sè per tutto il tratto che avevano in comune. [...]Montalbano s'addunò che i tre rami non nascevano indipendenti l'uno dall'altro, sia pure allocati vicinissimi, ma pigliavano punto origine dallo stesso punto, una specie di grosso bubbone rugoso che sporgeva dal tronco." 

 "Scusi, commissario, non le pare di essere stato tanticchia farabutto?" spiò, sdignata, la voce della coscienza di Montalbano al suo proprietario. "Bih, che camurrìa!" fu la risposta." 

 «La fede è una gran cosa!» esalò patre Crucillà. «Se non t'addorme, ti riposa» completò Montalbano." 

 "Quando mai in Sicilia ci si sposa? In Sicilia ci si marita. Le fimmine,dicendo "mi voglio maritari" intendono "voglio pigliare marito"; i mascoli dicendo la stessa cosa intendono "voglio diventare marito" 

 «Mi sono reso conto che spesso e volentieri litighiamo. Come una coppia maritata da anni, che subisce l'usura della convivenza. E il bello è che non conviviamo». «Vai avanti» disse Livia, con un filo di voce. «Allora mi sono detto: perché non ricominciamo tutto da capo?» «Non capisco. Che significa?». «Livia, che ne diresti se ci fidanzassimo?». «Non lo siamo?» «No. Siamo maritati». «D'accordo. E allora come si comincia?». «Così: Livia, ti amo. E tu?». «Anch'io. Buonanotte, amore»." 

 "Ma, mentre lo pinsàva, sapeva che manco questa era la vera virità per quello che stava in quel momento patendo, per la sofferenza, eh, cazzo, sei riuscito finalmente a dirla la parola giusta, che fa, ti vrigognavi?, ripetila la parola, sofferenza, che provava." 

 "Sotto la doccia, lei l'insaponò. Montalbano non reagiva, gli pareva, e la cosa gli faceva piacere, di essere tornato picciliddro quando mani amorose facevano sul suo corpo lo stesso travaglio. «Noto evidenti segni di risveglio» disse Ingrid ridendo. Montalbano taliò in basso e arrussicò violentemente. I segni erano assai più che evidenti. «Scusami, sono mortificato». «Di che ti mortifichi?» spiò Ingrid. «Di essere uomo?»." 

 "Stato" era una parola che dava a tutti il malostare, li faceva arraggiare come tori davanti allo straccio rosso. Di quei giorni Montalbano ricordava soprattutto una poesia di Pasolini che difendeva la polizia contro gli studenti a Valle Giulia , a Roma. Tutti i suoi compagni avevano sputato su quei versi, lui aveva tentato di difenderli: "Però è una bella poesia".[...] Perché allora quella poesia non gli dispiacque? Vedeva in essa già segnato il suo destino di sbirro? Ad ogni modo, nel corso degli anni, aveva visto i suoi compagni, quelli mitici del '68, principiare a "ragionare". E ragionando ragionando, gli astratti furori si erano ammosciati e quindi stracangiati in concrete acquiescenze. [...] Visto che non erano arrinisciuti a cangiare la società, avevano cangiato se stessi. Oppure non avevano manco avuto bisogno di cangiare, perché nel '68 avevano solamente fatto teatro, indossando costumi e maschere di rivoluzionari. 

"Mangiare alle otto di sira è cosa di milanesi, i siciliani cominciano a pigliare in considerazione la mangiata passate le nove."

martedì 10 giugno 2025

Il giorno del giudizio - Salvatore Satta

“La famiglia, questo mistero in cui la nostra persona si moltiplica, non vince, ma accresce la solitudine.” 

 “La fantasia entrava nella casa austera coi libri, e operava silenziosamente, toccando con la sua bacchetta magica uomini e cose.” 

 “Come in un negativo che si sviluppa, volti remoti ricompaiono in questi che mi circondano: gente sparita dalla terra e dalla memoria, gente dissolta nel nulla, e che invece si ripete senza saperlo nelle generazioni, in una eternità della specie, di cui non si comprende se sia il trionfo della vita o della morte.” 

 “A pensarci bene, Dio è fatto per il singolo individuo che ripone in lui la speranza, non per l'intera umanità, con le sue leggi, le sue organizzazioni, la sua forza. L'umanità è il demonio che Dio non riesce a distruggere.” 

 “Il guaio è che amare è una cosa difficile, ed è più facile essere grandi scienziate o grandi scrittrici. Perché l'amore non è volontà, non è studio, non è quel che si dice genio, è intelligenza, la vera sola misura della donna, e anche dell'uomo.” 

 “Il senso dell'utile e dell'inutile è estraneo a Dio e ai bambini.” 

 “Nella programmazione che egli faceva della sua vita la decisione non poteva trovar posto, perché essa, come tutte le azioni, comporta sempre un elemento di irrazionalità.” 

 “Forse la vera e la sola storia è il giorno del giudizio, che non per nulla si chiama universale.” 

 “L'ateismo è un momento statico della vita: e la vita allora era statica, simile al piano di una scacchiera su cui si possono giocare migliaia di partite, ma le combinazioni non sono infinite.”

 “Tutte quelle cose che si scrivono sui padri e sui figli, tutti quei drammi, sono per me letteratura, e la famosa pedagogia è paternità a freddo; e niente altro.” 

 “Ciascuno è padre di se stesso e figlio di se stesso.” 

 “Fermare il tempo vuol dire fermare Dio, eternarlo in uno degli infiniti momenti in cui si scompone la vita.” “In questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi, meno che da uno solo, quello di essere stati vivi.”

giovedì 5 giugno 2025

Il Gattopardo – Tomasi di Lampedusa

“Un temperamento autoritario, una certa rigidità morale, una propensione alle idee astratte che nell’habitat morale molliccio della società palermitana si erano mutati rispettivamente in prepotenza capricciosa, perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti e amici, che gli sembrava andassero alla deriva nei meandri del lento fiume pragmatistico siciliano” 

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” 

 “Ancora una volta il principe si trovò di fronte a uno degli enigmi siciliani; in quest’isola segreta, dove le case sono sbarrate e i contadini dicono di ignorare la via per andare al paese nel quale vivono e che si vede lì sul colle a cinque minuti di strada, in quest’isola, malgrado il suo ostentato lusso di mistero, la riservatezza è un mito”

 “Non siamo ciechi, caro padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare”

 “…il lamento delle cicale riempiva il cielo; era come il rantolo della Sicilia arsa che alla fine di agosto aspetta invano la pioggia” 

 “Ed il Principe, che aveva trovato Donnafugata immutata, venne invece trovato molto mutato lui, che mai prima avrebbe adoperato un modo di dire tanto cordiale; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio”

 “L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta” 

 “…la boscaglia si trovava nell’identico stato di intrico aromatico nel quale l’avevano trovata Fenici, Dori e Ioni quando sbarcavano in Sicilia, questa America dell’antichità” 

 “Quando i cacciatori giunsero in cima al monte, di fra i tamerici e i sugheri radi riapparve l’aspetto della vera Sicilia, quello nei cui riguardi città barocche ed aranceti non sono che fronzoli trascurabili: l’aspetto di una aridità ondulante all’infinito in groppe sopra groppe, sconfortate e irrazionali, delle quali la mente non poteva afferrare le linee principali, concepite in un momento delirante della creazione: un mare che si fosse ad un tratto pietrificato nell’attimo in cui un cambiamento di vento avesse reso dementi le onde” 

 “Era entrato in gioco il machiavellismo dei siciliani, che tanto spesso induceva questa gente, generosa per definizione, ad erigere impalcature complesse, fondate su fragilissime basi. Come dei clinici abilissimi nelle cure, ma che si basassero su analisi del sangue radicalmente sbagliate, e per far correggere le quali fossero troppo pigri, i siciliani finivano con l’uccidere l’ammalato, cioè loro stessi, proprio in seguito alla raffinatissima astuzia che non era quasi mai appoggiata ad una reale conoscenza dei problemi o, per lo meno, degli interlocutori” 

 “Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una buona parte della neghittosità, dell’acquiescenza per le quali durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questi si fosse mai presentata (plebiscito per l’annessione al regno di Sardegna)” 

 “…e con il fascicoletto arrotolato si fece il segno della croce, gesto che ha in Sicilia un significato non religioso più frequente di quanto non si creda”

 “Chevalley di Monterzuolo cominciava a rassicurarsi anche nei riguardi della Sicilia rustica. Questo fu notato da Tancredi che venne subito assalito dal singolare prurito isolano di raccontare ai forestieri storie raccapriccianti, purtroppo sempre autentiche” “

"Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunga, lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si scampava dagli esattori bizantini, dagli emiri berberi, dai vicerè spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto adesione, non avevo detto partecipazione. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perchè adesso di possa chiedere ad un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento. Adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che molto sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che lei capirà da solo quando sarà stato un anno tra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare. Siamo vecchi, vecchissimi. Sono 25 secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il la; noi siamo bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi, è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso… Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portare i più bei regali; e, sia detto tra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblìo, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae solo perchè è morto… Li conti, Chevalley, li conti: maggio, giugno, luglio, agosto, setembre, ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle nostre teste…questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, del passato, magnifici ma incomprensibili perchè non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà ove, subito serviti, presto detestati, e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove: tutte queste cose hanno formato il carattere nostro, che così rimane condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità d’animo” 

 “I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria” “Era necessario, diceva, subire la realtà di questo Stato italiano che si formava, ateo e rapace, di queste leggi di esproprio e di coscrizione che dal piemonte sarebbero dilagate sin qui come il colera” 

 “Essi offrivano lo spettacolo patetico più di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari in cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione”

 «Ma era poi la verità questa? In nessun luogo quanto in Sicilia la verità ha vita breve. […] E l’infelice Concetta voleva trovare la verità di sentimenti non espressi ma soltanto intravisti mezzo secolo fa! La verità non c’era più; la sua precarietà era stata sostituita dall’irrefutabilità della pena». 

 «non provava assolutamente alcuna sensazione: le sembrava di vivere in un mondo noto ma estraneo che già avesse ceduto tutti gli impulsi che poteva dare e che consistesse ormai di pure forme. Il ritratto del padre non era che alcuni centimetri quadrati di tela, le casse verdi alcuni metri cubi di legno». 

"Questo cane è diventato veramente troppo tarlato e polveroso. Portatelo via, buttatelo." Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con l'umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare. Pochi minuti dopo, quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l'immondezzaio visitava ogni giorno. Durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell'aria un quadrupede dai lunghi baffi, e l'anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.