“È l’alba del 24 dicembre 1859. Nell’Ospizio dei trovatelli della Nunziata, che accoglie quelli che le pietose popolane napoletane chiamano “figli della Madonna”, ci si prepara per tempo alla grande vigilia. Su, su, all’ultimo piano del triste e severo edificio, oltre i dormitori dei piccoli trovatelli, lassù, proprio in soffitta, Cirillo Docore apre gli occhi anche lui al nuovo giorno.”
“Cirillo Docore, s’è già capito, spasima per questa “cosa” che lui ignora e che il destino gli ha negato: la famiglia.”
“Questo, dunque, è Cirillo Docore: un vero trovatello di trent’anni, un trovatello e uno scrivanello, ultimo chiodo nella vita e nel suo lavoro alla Real Beneficenza. Povero due volte e buono tre volte: quieto, tranquillo, senza voglie ma dilaniato dal desiderio di avere una famiglia, due famiglie.”
“Era in Sicilia il suo tesoro nascosto, la trovatura, come lo aveva chiamato col Principe, senza dirgli però che si trattava di una trovatura di anime morte, di contadini che valevano cento scudi pro capite.”
“Ecco, vedete, Eccellenza, desidererei acquistare quelle anime vostre che pur essendo morte figurano ancora come vive nell’elenco dell’ultimo censimento fiscale.”
“La parola, se permettere, non è mai diversa, è una.”
“Ecco, Eccellenza, lo splendido Principe di Margellina, il compratore d’anime. D’anime morte, Eccellenza. Un compratore d’anime morte, ci pensate, Eccellenza?”
“Ma è l’undici maggio 1860; Garibaldi è sbarcato da alcune ore a Marsala, la notizia si è sparsa per la Sicilia come un tam tam nella foresta, portata da uomini a cavallo da un paese all’altro: Arriva Garibaldi!”
“Fra gli armadi, i tavoli, le sedie, i materassi che formano le barricate dei picciotti e dei rivoltosi della Vicaria, si trova pure il famoso cofanetto di Cirillo, aperto, coi contratti delle anime morte portati via, svolazzanti, dal vento.”
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Per aspera ad astra