giovedì 4 settembre 2025

Lessico famigliare – Natalia Ginzburg

“Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: Non fate malagrazie!” 

 “Quanto a mio padre, se ne stava a leggere nella parte opposta della casa…” 

 “Vivevamo sempre, in casa, nell’incubo delle sfuriate di mio padre, che esplodevano improvvise, sovente per motivi minimi…” 

 “Le poesie erano dunque così: semplici, fatte di niente; fatte delle cose che si guardavano. Mi guardavo intorno con occhi attenti: cercavo cose che potessero assomigliare a quelle rocce nere, a quei prati verdi, e che questa volta non mi sarei lasciata portar via da nessuno.” 

 “E lui e mia madre parlavano del tempo ch’era ancora vivo Galeotti come di un tempo felice, allegro, quando loro erano più giovani, quando le montagne conservavano intatto per mio padre il proprio fascino, quando il fascismo sembrava dovesse presto finire.” 

 “Gino, infatti, dava poco spago, perché leggeva sempre; e quando gli si parlava, rispondeva a monosillabi, senza alzare la testa dal libro.” 

 “Adriano (Olivetti), allora, sembrava l’incarnazione di quello che mio padre usava definire un impiastro; e tuttavia mio padre non disse mai di lui che era un impiastro, né un salame, né un negro: non pronunciò mai al suo indirizzo nessuna di queste parole. Mi domando perché: e penso che forse mio padre aveva una maggiore penetrazione psicologica di quanto noi sospettassimo, e intravide, nelle spoglie di quel ragazzo impacciato, l’immagine dell’uomo che Adriano doveva diventare più tardi.” 

“Aveva occhi spaventati, risoluti e allegri; gli vidi, due o tre volte nella vita, quegli occhi. Erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo.” 

 “Ci sposammo, Leone ed io; e andammo a vivere nella casa di via Pallamaglio.” 

 “Avevamo un alloggio nei dintorni di piazza Bologna. Leone dirigeva un giornale clandestino ed era sempre fuori di casa. Lo arrestarono, venti giorni dopo il nostro arrivo; e non lo rividi mai più.”

 “Il suo animo non sapeva invecchiare e non conobbe mai la vecchiaia, che è starsene ripiegati in disparte piangendo lo sfacelo del passato.” 

 “Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d’essere dei poeti, e tutti pensavano d’essere dei politivi; tutti s’immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità.” 

 “Certo, per molti anni, nessuno fece più il proprio mestiere, ma tutti credettero di poterne e doverne fare mille altri insieme; e passò del tempo prima che ciascuno riprendesse sulle sue spalle il proprio mestiere e ne accettasse il peso e la quotidiana fatica, e la quotidiana solitudine, che è l’unico mezzo che noi abbiamo di partecipare alla vita del prossimo, perduto e stretto in una solitudine uguale.” 

 “Pavese si uccise un’estate che non c’era, a Torino, nessuno di noi.” 

 “Aveva parlato, per anni, di uccidersi. Nessuno gli credette mai. Quando veniva da me e da Leone mangiando ciliegie, e i tedeschi prendevano la Francia, già allora ne parlava.”

 “Guardò anche oltre la sua vita, nei nostri giorni futuri, guardò come si sarebbe comportata la gente, nei confronti dei suoi libri e della sua memoria. Guardò oltre la morte, come quelli che amano la vita e non sanno staccarsene, e pur pensando alla morte vanno immaginando non la morte, ma la vita.”

sabato 30 agosto 2025

M la fine e il principio – Antonio Scurati

“Benito Mussolini è stato arrestato, il fascismo è caduto, gli angloamericani tormentano l’Italia dal cielo preparandosi a invaderla dal mare. Ma nulla di tutto ciò risuona nell’urlo primordiale della scimmia impazzita. La storia umana si estingue nello sguardo idiotico dell’animale.” 

 “Il primo giorno di occupazione nazista di Milano tramonta in una dolcissima notte di luna piena. In piazza del Duomo il chiarore tenue dell’astro notturno illumina la sagoma tozza di un carro armato Panzerkampfwagen IV. Il suo cannone KwK 40 da 75 millimetri è puntato contro le esili guglie svettanti, tra mille statue di santi, sulla cattedrale consacrata a Santa Maria Nascente, il più grande tempio cristiano del mondo dopo la basilica di San Pietro.” 

 “Li guida una sola stella: la nostalgia, il dolore del ritorno, il ricordo menzognero dei giorni belli, i giorni gloriosi, i giorni della lotta, la confusione vitale della rissa, li guida il fantasma della giovinezza, il più vile degli inganni. Divorati dal cancro del tempo, passati in giudicato dalla storia, cristallizzati per l’eternità nel gesto omicida, sono i dannati di un inferno anonimo, i manovali del massacro, sono i desperados del fascismo.” 

 “Quegli uomini saranno spietati perché sono già stati sconfitti, vagheranno sulla terra seminando morte perché sono già morti, cono cadaveri insepolti, sono i cani neri del mito.” 

 “Non si accorge Resega dei partigiani venuti a ucciderlo, perché quegli uomini sono oramai tutt’uno con la città che li vomita e al tempo stesso li cela, quella città inorridita dal ritorno del fascismo che arretra di disgusto a ogni suo passo proprio come si ritrae alla vista oscena degli squadristi di Colombo…” 

 “D’altro canto, in questa primavera di sangue tutta Milano è divenuta una città di torturatori.” 

 “Sono tutti qui, in questo fosco autunno del millenovecentoquarantaquattro, sono tutti a fianco a fianco nell’anticamera del dittatore decrepito, assassini, avventurieri spietati, idealisti illusi e moralizzatori, sulla stessa barca che affonda, in riva a questo lago torpido.” 

 “Questa moltitudine di Arditi, assassini e avventurieri, vinti ebbri della propria sconfitta, non vuole sentire discorsi, vuole soltanto acclamare il proprio idolo, scandirne il nome con un ancestrale ritmo ternario. Duce! Duce! Duce!” 

 “Ciò che Mussolini proprio non riesce a vedere, riflessa nelle acque morte del lago, è la verità su se stesso: lo ha già fatto, quegli uomini li ha già turlupinati. Lui è l’ingannatore, non l’ingannato. E non andrà in piazza, come proclama a Clara di voler fare. Nemmeno morirà. Forse lo desidera ma non morirà. Non ora, non ancora.” 

 “I milanesi, intanto, non trovano il tempo per crogiolarsi nel dramma interiore. Non lo trovano perché vivono quotidianamente un dramma esteriore pienamente dispiegato nelle strade. A Milano, infatti, cessata una breve tregua, si è ricominciato a scannarsi.” 

 “Nessuno che cerchi un senso nelle cose umane può accontentarsi dei meri fatti perché i fatti glielo negheranno. Poi, però, viene il momento in cui la Storia con la maiuscola, insieme al suo carico magniloquente di grandi visioni, degrada nella semplice, insensata cronaca degli accadimenti. Il momento è arrivato.” 

 “Ilo 25 aprile millenovecentoquarantacinque a Milano non fa più freddo. Nutriti dal tiepido sole primaverile, i primi papaveri selvatici fioriscono tra le rovine dei bombardamenti nelle strade deserte, ammutolite dallo sfacelo, traendo linfa dai cadaveri insepolti. È un mercoledì.” 

 “Ma in fondo lo sanno, lo hanno sempre saputo: il loro unico intento, nella mattanza generale del mondo, fu soltanto quello di impugnare la lama dal lato dell’elsa.” 

 “All’una di notte il convoglio funereo parte per Milano dove giunge due ore più tardi. La destinazione non è affatto casuale, segue il criterio della vendetta, l’irresistibile seduzione dei simboli, l’antichissimo richiamo dei nomi: i cadaveri vengono scaricati sul selciato di piazzale Loreto, nel punto esatto dove nell’agosto del ’44 furono trucidati quindici antifascisti, all’angolo tra corso Buenos Aires e il grande slargo cittadino che da allora molti milanesi hanno ribattezzato piazza dei martiri.” 

 “Finisce qui, dove era cominciata, la tragica storia di Benito Mussolini: nell’oscenità, nell’orrore, nel massacro. E qui inizia quella del suo cadavere.” 

 “La vostra Repubblica nasce qui, su questa piazza, fondata su questo cadavere scannato a un uncino da macellaio.” 

 “Alla fine, come in principio, saranno soltanto i morti. In principio come alla fine sarà ancora soltanto il corpo. Il corpo macellato e ricomposto, morto e resuscitato, laido e glorioso. Il corpo del vostro Duce. Si, il mio pubblico ci sarà ancora. E ancora, E ancora. Il cadavere tornerà, io tornerò, perché i morti non pesano soltanto, i morti sopravvivono. Sono cose più antiche del mondo. E io queste cose le so, le so perché è inutile, non c’è niente da fare, io sono come le bestie: sento il tempo che viene.”