martedì 15 luglio 2025

Cronache di poveri amanti - Vasco Pratolini

"Alla vita noi chiediamo il successo del nostro lavoro, la felicità familiare, l'affermarsi dell'idea in cui abbiamo creduto e per le quali abbiamo lottato e siamo arrivati al limite della disperazione. Ma non domandateci di ricercare le cause di cotesta disperazione, si tratta di una cosa che non c'è mai appartenuta. del nostro passato noi ricordiamo soltanto ciò che ci concilia col nostro presente, e che serve al nostro avvenire. E siamo sinceri, adesso, disperatamente sinceri. Non chiamate tutto ciò vigliaccheria: dimenticare è l'aiuto che ci offre la vita, perchè la viviamo." 

 "Ed erano piante giovani, desiderose di affondare le radici in una terra sana. Diciamo: amore, ma è l'incontro di due creature che vengono di lontano, si prendono la mano per farsi coraggio, siccome il cammino è lungo e bisogna arrivare al confine che introduce all'altra terra, se c'è." 

 "Coloro di cui dovremmo maggiormente diffidare, sono gli ultimi sui quali vanno a cadere i nostri sospetti." 

"Ma dentro, proprio dentro ciascuno di noi, chi può leggere? Come si può dire di una persona: non c'è dubbio! se noi stessi siamo pieni di dubbi su noi stessi?" 

 "La nostra felicità sta forse proprio nel voler dire certe parole e nel non riuscire a dirle. Per esempio, io ti amo. Dentro di me lo so bene perché ti amo, ma se devo spiegarti questo perché, non sono capace" 

"Inconsciamente capivano che parlare significava arrestare con il peso della voce il corso dei loro pensieri e sentimenti che si svolgevano uguali, con figurazioni identiche, identiche suggestioni. Capivano che parlare avrebbe significato tacere qualcosa che le parole non si adattano ad esprimere: avrebbe significato tradirsi, l'un l'altro, un poco." 

 "E' l'ipocrisia e l'egoismo del mondo: ciascuno ne aveva dianzi pieno il viso, e ne faceva bandiera con un lenzuolo."

 "Ed è proprio questo il mio timore. Il senso della morte che ci portiamo dietro, un dolore che non finirà mai! Ora ho imparato a conoscerti" ella disse, "e mi piace tutto di te: come sei e come non sei. Ho paura di aggiungere altro dolore a quello che hai già, e a quello che ti aspetta". [...] 

"Sarei diventata una cinica, di quelle che non credono più in nulla e finiscono aride come un pozzo asciutto, se non avessi incontrato te". 

"Eri felice come è felice chi sta con gli occhi chiusi e non li aprirà mai perché non li può aprire. Per cui si contenta del proprio orizzonte." 

"Non si gridavano parole tra di loro. Li univa un'imminenza di morte, più forte di ogni legame di vita." 

 "Il Bene e il Male si confondono nelle passioni." 

"Miseria e miseria da tutte le parti. Eppoi, nemmeno miseria, perche tutti più o meno mangiano abbastanza. Ma la miseria ce l'hanno scritta in faccia, e se la portano dietro, capisci?" 

"Sembra ad entrambi di avere da dirsi, proprio ora, parole che vanno dette sottovoce. La vita è una cella un po' fuori dell'ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione. L'importante consiste nel sapere stabilire dentro di noi quell'equilibrio che fa il mondo vasto come il cielo." 

 "Si sente il cielo anche senza alzare gli occhi, e l'aria sembra migliore: dal lungarno giunge una brezza che ristora. Ma forse sembra a loro che sono innamorati." 

 "Accanto a Liliana egli aveva scoperto che un bacio aveva il suo sapore di bacio, una carezza la levità della carezza, l'amore il suo compimento spontaneo. Accanto ad Aurora era invece un eccitamento brutale, come una perdita delle facoltà, un duello nel quale egli ogni volta finiva per soccombere ed affidarsi a lei, stordito." 
 
"Quando Elisa se ne è andata, egli scivola sul lato ov'ella stava coricata, cova il tepore che vi ha lasciato il suo corpo, e l'odore di donna di cui il cuscino è intriso. Egli ha terrore di ritrovarsi solo con i propri pensieri. Già in questa pausa dell'alba, mentre attende che la sveglia suoni, egli si afferra a ciò che di immateriale Elisa ha lasciato dietro di sé, per trovarvi un conforto, una complicità. E i suoi pensieri sono espressi e sussurrati come se Elisa fosse ancora lì ad ascoltarlo, gli dicesse sì e no come è solita fare. Osvaldo teme i propri pensieri perché teme le persone che li raffigurano." 

"Non le mise mai le mani addosso, e nello stesso tempo non le fece mai una carezza. Visse accanto a lei come ad un oggetto fragile a cui occorre badare, ma del quale non comprendiamo il significato. Così è cresciuta Bianca, credendosi disgraziata ed incompresa, chiusa in sé stessa anche nei rapporti con le amiche, allevando il proprio cuore nel sogno, la solitudine e l'amarezza." 

"Vecchie simili hanno vissuto una vita diversa dalla sua: sono zitelle bigotte, vedove di pensionati, nonne, con alle spalle un'esistenza di caso in caso arida di sentimenti, povera di emozioni, riscaldata da un focolare domestico. La natura le ha dotate di spiriti semplici, sensi naturali, bellezze comprensibili. L'educazione ricevuta ha insegnato loro a praticare i canoni di quella moralità che regola l'equilibrio del mondo e brucia continuamente i vascelli di fronte all'indomito esercito del vizio. La Signora, invece, è un Maresciallo dell'Armata nemica. La sua formazione fisica e morale è stata l'esempio classico del rovesciamento di posizioni. Dove la semplicità diventa caos, la naturalezza infingimento, e la bellezza sfiora le cime della perfezione. Su questa sua natura complessa, violenta e sensitiva, richiamati dallo splendore del suo corpo, gli uomini erano passati come i clowns che calpestano la pedana: all'eco dei loro schiamazzi subentra il silenzio di morte degli acrobati al trapezio." 

 "Un uomo è solo quando cerca, trova e difende il proprio amore. Da un uomo che difende il proprio amore, la società non potrà che ricevere buone azioni. E' stato, del resto, il Partito ad insegnargli, inconsciamente o meno, di perseguire fino in fondo, attraverso l'errore, attraverso il dolore, la felicità quando si è certi di trovarsi sulla strada che vi conduce." 

 "Tuttavia nessuno dei due riesce a pronunciare quella frase che forse "li farebbe precipitare nell'errore", e forse determinerebbe una tregua nel quotidiano reciproco assalto che essi si danno, passeggiando, parlando, la mano nella mano, fino a storcersi l'un l'altro le dita."

giovedì 10 luglio 2025

L’Italia in seconda classe – Paolo Rumiz

“La storia comincia all’alba, nel mar di Sardegna, con il traghetto Aurelia che si mette a vibrare dalla chiglia alla ciminiera in mezzo a nubi alte come torri e con l’odore di vernice, ruggine e salsedine che diventa odore di terra.” 

 “Per una volta, ladies and gentleman, non allacciatevi le cinture. Don’t fasten your seat belts. Si parte in treno, la Cenerentola dei trasporti. Si fa l’Italia in seconda classe, per linee dimenticate.” 

 “In tasca, un’idea corsara. Percorrere 7840 chilometri, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok. Una distanza leggendaria, un gomitolo lungo come l’Asia da srotolare dentro la Penisola.” 

 “Lo scompartimento si riempie di profumo di mirto. Abbiamo deciso: d’ora in avanti viaggeremo su treni con finestrini apribili. Niente aria condizionata, niente treni che somigliano ad aerei. L’aereo è globale, totalitario, imperscrutabile. Sta in cielo, e il cielo è di nessuno. La rete di ferro, invece, è di tutti. E’ il popolo, la nazione.” 

 “Il treno, non l’aereo, ha fatto l’Italia. Un piccolo treno come questo che arranca nel vento tra praterie e fichi d’India. Siamo in ballo. Il viaggio comincia.” 

 “La fine dei territori comincia così, con il bar e la panetteria che chiude, il parroco che se ne va, poi con le stazioni del silenzio.” 

 “A bordo ci investe un pandemonio di genitori affranti e bambini tiranni con chewing-gum e telefonino. Urla, panini, carte per terre. Viva l’Italia. Siamo già alieni su questa nave che il mistral spinge verso la notte africana.” 

 “Comincia il Grande Sud: cani liberi, una farmacia a ogni angolo, caldo tunisino.” 

 “Per i siciliani, il treno è roba da emigranti, una cosa che ti strappa alla terra, ti porta via per una vita. E’ grazie a questa paura antica che le stazioni restano oasi di ordine e silenzio nel caos del Grande Sud.” 

 “Ma è un attimo, perché la meraviglia dell’attimo presente vince sul ricordo: oltre la penombra delle colline, oltre la prima luminescenza dei paesi, immensa, fosforica nel cielo viola, compare un’altra fantastica icona. L’Etna, il Dio Vulcano.” 

 “Poi, al solito, la Sicilia ti frega. Con la bellezza. Che viaggio il nostro, fin qui, ai confini della notte! Sole basso di poppa, praterie andaluse. E nelle stazioni, i resti di tanti serbatoi d’acqua, segno della sete africana che qui divorava le locomotive.” 

 “Si scava la strada verso l’altro mare, Catania barocca e la sua festa mobile.” “

Si entra in un labirinto di pietre laviche, discariche, fichi d’India, case non finite, buganvillee, sfasciacarrozze, immondizie. Eppure, nonostante tutto, che meraviglia.” 

 “Il treno, ha detto qualcuno, è una visione laterale della vita; non fai in tempo a vederla ed è già passata.” 

 “Becchiamo fotogrammi irripetibili. Specie quando il treno punta verso la cima, buca una massa di lava e ci mostra, tra due muraglioni nei come la pece le nevi dell’Etna in fondo al binario.” 

 “Stazione di Catania, attesa con gli zaini, si va in Continente. Che posto splendido: puoi tuffarti direttamente in mare. E che posto vuoto, anche: biglietterie senza code, pensiline senza addii, treni senza passeggeri. Solo turisti stranieri: come noi in fondo, alieni del Nordest.” 

 “Non contiamo più i chilometri, ora siamo davvero due matti in fuga. Abbiamo addosso l’odore del treno, Napoli ci possiede.” 

 “La clandestinità ci serve ancora in questo viaggio tra rami secchi e linee minori che è un’operazione rivoluzionaria. A caccia di un’Italia minore che scompare.” 

 “Accendo la radiolina dopo dieci giorni di viaggio. E’ sempre lo stesso bollettino. Temporali al Nord, sbarchi di clandestini a Otranto, industriali taglieggiati a Napoli, ville rapinate in Brianza. Che ce ne importa. Ormai siamo stranieri in patria. O forse è il treno che ci ha fatto uscire dal tempo.” 

 “Bagno liberatorio, con il Milano-Foggia che ci passa accanto, grandioso, autoritario. Sembra venire dal tempo in cui lo stato non era in svendita e la patria non era un’azienda. Penso che il treno è la cosa più lunga che si muove sulla Terra. E che esisterà pure, da qualche parte, un cimitero dei treni. Come per le navi, le balene e gli elefanti.” 

 “Certi viaggiatori non “vanno”, ma “vengono andati”. La prova? Il nostro treno-supposta passa luoghi leggendari, ma nessuno guarda fuori.”

 “L’avrete capito. I locomotori sono figli del fascismo: del tempo, cioè, in cui l’Europa ci negò il carbone e l’Italia fu obbligata, in anticipo su tutti, a scegliere l’elettrificazione della rete. Poi l’autarchia finì in tragedia, con i soldati in treno che andavano a morire. Ma i mostri elettrici rimasero, insuperati.” 

 “Il treno va, forse è solo il fattore umano che lo fa andare, ignorato e umiliato, con tanti piccoli atti non dovuti. Ma fino a quando?” 

 “Arriva un treno. E’ il mio! A bordo c’è Paolini che legge. Vedo anche me stesso sul mulo che va, impietosa allegoria di questa Italia fatta di pubblica povertà e privata ricchezza.” 

 “Una volta, in posti come la stazione di Alessandria ci passavano fiumi di terroni diretti alla Fiat. Oggi c’è il vuoto. Gli italiani vanno su gomma. C’è l’apartheid d’estate, a nord della Linea Gotica: il mezzo privato alla razza bianca, quello pubblico agli altri.” 

 “Già, Rovasenda. Come fai a dire di conoscere la Padania se non sei stato a Rovasenda? Come fai a non sentirla che ti chiama nella pioggia, con quel nome da romanzo di Calvino? E noi la cerchiamo, in un treno tra i lampi che diventa una gabbia di Faraday, finché il suo campanile spunta come un parafulmine nella pianura, in mezzo a pioppi indemoniati e a mille antifurti che friggono, eccitati dal temporale.” 

 “Il vagabondo con l’Economist ha una solida visione del mondo. Spiega: Se chiedessi l’elemosina guadagnerei di più. Perché? Gli italiani non hanno più tempo per ridere e preferiscono compatire. E’ l’anima cattolica.” 

 “Rovereto, Trento, Mezzocorona. Marco e io risaliamo l’Adige come salmoni, cerchiamo sotto ipnosi la sorgente del nostro viaggio, il luogo mitico dei treni. Andiamo dove la ferrovia sta ancora nelle fiabe dei bambini, segna l’identità dei luoghi come le foreste e i fiumi. Oltralpe, in Germania, dove la stazione si chiama Bahnhof, il capotreno è ancora un monarca e il treno è il simbolo della nazione.”

 “Anche i nomi delle cose sono cambiati, tutto è un festival di eufemismi. I disabili ora si chiamano diversamente abili.”

 “E’ sempre la stessa storia: il sistema è fatto per spararti dal punto A al punto B. L’idea stessa del viaggio gli è inconcepibile.”

 “Nessun popolo come gli italiani ha costruito tante ferrovie per gli altri, e nessun popolo ignora tanto le ferrovie proprie. Come si spiega? C’è qualcosa che non funziona in un popolo capace di dimenticare una simile, straordinaria epopea.” 

 “Che fare? Marco ha gli occhi lucidi. Lo guardo, le parole non servono. Siamo viaggiatori ribelli, dunque, clandestini anche noi, musi neri anche noi. E allora via. Un salto e siamo in Italia. L’unico rumore è uno strappetto sui jeans.”