“Per una volta, ladies and gentleman, non allacciatevi le cinture. Don’t fasten your seat belts. Si parte in treno, la Cenerentola dei trasporti. Si fa l’Italia in seconda classe, per linee dimenticate.”
“In tasca, un’idea corsara. Percorrere 7840 chilometri, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok. Una distanza leggendaria, un gomitolo lungo come l’Asia da srotolare dentro la Penisola.”
“Lo scompartimento si riempie di profumo di mirto. Abbiamo deciso: d’ora in avanti viaggeremo su treni con finestrini apribili. Niente aria condizionata, niente treni che somigliano ad aerei. L’aereo è globale, totalitario, imperscrutabile. Sta in cielo, e il cielo è di nessuno. La rete di ferro, invece, è di tutti. E’ il popolo, la nazione.”
“Il treno, non l’aereo, ha fatto l’Italia. Un piccolo treno come questo che arranca nel vento tra praterie e fichi d’India. Siamo in ballo. Il viaggio comincia.”
“La fine dei territori comincia così, con il bar e la panetteria che chiude, il parroco che se ne va, poi con le stazioni del silenzio.”
“A bordo ci investe un pandemonio di genitori affranti e bambini tiranni con chewing-gum e telefonino. Urla, panini, carte per terre. Viva l’Italia. Siamo già alieni su questa nave che il mistral spinge verso la notte africana.”
“Comincia il Grande Sud: cani liberi, una farmacia a ogni angolo, caldo tunisino.”
“Per i siciliani, il treno è roba da emigranti, una cosa che ti strappa alla terra, ti porta via per una vita. E’ grazie a questa paura antica che le stazioni restano oasi di ordine e silenzio nel caos del Grande Sud.”
“Ma è un attimo, perché la meraviglia dell’attimo presente vince sul ricordo: oltre la penombra delle colline, oltre la prima luminescenza dei paesi, immensa, fosforica nel cielo viola, compare un’altra fantastica icona. L’Etna, il Dio Vulcano.”
“Poi, al solito, la Sicilia ti frega. Con la bellezza. Che viaggio il nostro, fin qui, ai confini della notte! Sole basso di poppa, praterie andaluse. E nelle stazioni, i resti di tanti serbatoi d’acqua, segno della sete africana che qui divorava le locomotive.”
“Si scava la strada verso l’altro mare, Catania barocca e la sua festa mobile.”
“
Si entra in un labirinto di pietre laviche, discariche, fichi d’India, case non finite, buganvillee, sfasciacarrozze, immondizie. Eppure, nonostante tutto, che meraviglia.”
“Il treno, ha detto qualcuno, è una visione laterale della vita; non fai in tempo a vederla ed è già passata.”
“Becchiamo fotogrammi irripetibili. Specie quando il treno punta verso la cima, buca una massa di lava e ci mostra, tra due muraglioni nei come la pece le nevi dell’Etna in fondo al binario.”
“Stazione di Catania, attesa con gli zaini, si va in Continente. Che posto splendido: puoi tuffarti direttamente in mare. E che posto vuoto, anche: biglietterie senza code, pensiline senza addii, treni senza passeggeri. Solo turisti stranieri: come noi in fondo, alieni del Nordest.”
“Non contiamo più i chilometri, ora siamo davvero due matti in fuga. Abbiamo addosso l’odore del treno, Napoli ci possiede.”
“La clandestinità ci serve ancora in questo viaggio tra rami secchi e linee minori che è un’operazione rivoluzionaria. A caccia di un’Italia minore che scompare.”
“Accendo la radiolina dopo dieci giorni di viaggio. E’ sempre lo stesso bollettino. Temporali al Nord, sbarchi di clandestini a Otranto, industriali taglieggiati a Napoli, ville rapinate in Brianza. Che ce ne importa. Ormai siamo stranieri in patria. O forse è il treno che ci ha fatto uscire dal tempo.”
“Bagno liberatorio, con il Milano-Foggia che ci passa accanto, grandioso, autoritario. Sembra venire dal tempo in cui lo stato non era in svendita e la patria non era un’azienda. Penso che il treno è la cosa più lunga che si muove sulla Terra. E che esisterà pure, da qualche parte, un cimitero dei treni. Come per le navi, le balene e gli elefanti.”
“Certi viaggiatori non “vanno”, ma “vengono andati”. La prova? Il nostro treno-supposta passa luoghi leggendari, ma nessuno guarda fuori.”
“L’avrete capito. I locomotori sono figli del fascismo: del tempo, cioè, in cui l’Europa ci negò il carbone e l’Italia fu obbligata, in anticipo su tutti, a scegliere l’elettrificazione della rete. Poi l’autarchia finì in tragedia, con i soldati in treno che andavano a morire. Ma i mostri elettrici rimasero, insuperati.”
“Il treno va, forse è solo il fattore umano che lo fa andare, ignorato e umiliato, con tanti piccoli atti non dovuti. Ma fino a quando?”
“Arriva un treno. E’ il mio! A bordo c’è Paolini che legge. Vedo anche me stesso sul mulo che va, impietosa allegoria di questa Italia fatta di pubblica povertà e privata ricchezza.”
“Una volta, in posti come la stazione di Alessandria ci passavano fiumi di terroni diretti alla Fiat. Oggi c’è il vuoto. Gli italiani vanno su gomma. C’è l’apartheid d’estate, a nord della Linea Gotica: il mezzo privato alla razza bianca, quello pubblico agli altri.”
“Già, Rovasenda. Come fai a dire di conoscere la Padania se non sei stato a Rovasenda? Come fai a non sentirla che ti chiama nella pioggia, con quel nome da romanzo di Calvino? E noi la cerchiamo, in un treno tra i lampi che diventa una gabbia di Faraday, finché il suo campanile spunta come un parafulmine nella pianura, in mezzo a pioppi indemoniati e a mille antifurti che friggono, eccitati dal temporale.”
“Il vagabondo con l’Economist ha una solida visione del mondo. Spiega: Se chiedessi l’elemosina guadagnerei di più. Perché? Gli italiani non hanno più tempo per ridere e preferiscono compatire. E’ l’anima cattolica.”
“Rovereto, Trento, Mezzocorona. Marco e io risaliamo l’Adige come salmoni, cerchiamo sotto ipnosi la sorgente del nostro viaggio, il luogo mitico dei treni. Andiamo dove la ferrovia sta ancora nelle fiabe dei bambini, segna l’identità dei luoghi come le foreste e i fiumi. Oltralpe, in Germania, dove la stazione si chiama Bahnhof, il capotreno è ancora un monarca e il treno è il simbolo della nazione.”
“Anche i nomi delle cose sono cambiati, tutto è un festival di eufemismi. I disabili ora si chiamano diversamente abili.”
“E’ sempre la stessa storia: il sistema è fatto per spararti dal punto A al punto B. L’idea stessa del viaggio gli è inconcepibile.”
“Nessun popolo come gli italiani ha costruito tante ferrovie per gli altri, e nessun popolo ignora tanto le ferrovie proprie. Come si spiega? C’è qualcosa che non funziona in un popolo capace di dimenticare una simile, straordinaria epopea.”
“Che fare? Marco ha gli occhi lucidi. Lo guardo, le parole non servono. Siamo viaggiatori ribelli, dunque, clandestini anche noi, musi neri anche noi. E allora via. Un salto e siamo in Italia. L’unico rumore è uno strappetto sui jeans.”
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Per aspera ad astra